L' orda. Quando gli albanesi eravamo noi by Gian Antonio Stella

L' orda. Quando gli albanesi eravamo noi by Gian Antonio Stella

autore:Gian Antonio Stella [Stella, Gian Antonio]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2012-04-27T08:46:30+00:00


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Un’opinione poi rilanciata al massimo livello da Jules Guesde che, pur essendo uno dei padri della

“gauche” e dunque in teoria sensibile all’appello antinazionalista (“Proletari di tutto il mondo unitevi”), aveva lasciato ai posteri un commento imbarazzante su “Le Cri du Peuple” centrato fin dal titolo sulla parola “invasione” e ideologicamente così confuso che gli immigrati italiani, visti quali razziatori dei lavoro altrui, erano bollati come “saraceni”.

In un contesto come questo, aggravato nel 1881 dalla tensione tra i governi seguita all’occupazione francese della Tunisia sulla quale aveva messo gli occhi l’Italia, scrive Barnabà, gli scoppi individuali o collettivi d’odio verso gli immigrati erano continui. Gli italiani uccisi tra il 1881 e il 1883 furono una trentina. Tre dei quali nella caccia ai “babis” (rospi: uno dei soprannomi dei nostri insieme con “macaronis” e “christos”, forse dovuto alla nostra fama di bestemmiatori) scatenata durante i Vespri Marsigliesi. Esplosi nel 1881 nella città ormai molto italianizzata - i nostri erano un quinto della popolazione e se naturalizzati erano ironicamente detti “français de Coni” cioè

“francesi di Cuneo” - dopo che al porto e alla conceria Jullien si era cercato di usare gli italiani contro gli operai locali in sciopero.

Quando il 16 agosto del 1893 si apre la stagione dei sale, insomma, la situazione è incandescente.

Fuori dalle mura di Aigues-Mortes, secondo quanto dirà il sindaco Marius Terras, sono accampate alla meno peggio 2000 persone. In larga parte sono “trimards”, lavoratori nomadi discendenti in linea diretta dai “compagnons” dell’Ancien Régime, arrivati da tutta la Francia, ma soprattutto dal Nord. Sono venuti per guadagnare molto e in poche settimane. Sono inveleniti con gli italiani

“saraceni” e magari qualcuno ha pure in tasca il volantino elettorale in quei giorni distribuito dal romanziere, polemista e politico Maurice Barrès, il presidente della Ligue des Patriotes che teorizza la tutela “del lavoro nazionale così come si fa col grano, con le pecore o con le stoffe”.

Il titolo è lo stesso delle serie di articoli pubblicati quel mese da “Le Figaro”: “Contre 1es étrangers”

[Contro gli stranieri]. Dice: “Il decremento della natalità, il processo di esaurimento della nostra energia (è da cent’anni che i nostri compatrioti più attivi si distruggono nelle guerre e nelle rivoluzioni) hanno portato all’invasione del nostro territorio e del nostro sangue da parte di elementi stranieri che s’adoprano per sottometterci. […] Credono di civilizzarci; contrastano invece la nostra civiltà. Il trionfo del loro modo di vedere coinciderebbe con la completa rovina della nostra patria. Il nome della Francia potrebbe forse sopravvivere e conservare magari una certa importanza nel mondo; lo speciale carattere del nostro paese ne sarebbe tuttavia distrutto e il popolo insediatosi con il nostro nome sul nostro territorio si avvierebbe verso destini che sono in contraddizione con i destini e i bisogni dei vecchi francesi”.

Come un cerino in un pagliaio, scriverà il giornale anarchico “La révolte”, arriva tra gli stagionali francesi la notizia che ad alcuni francesi che si eran presentati in anticipo era stato detto che stavolta la Compagnie des Salins du Midi, la quale raccoglieva quasi



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